giovedì 16 ottobre 2008

Que Viva Mexico


QUE VIVA MEXICO
(Appunti ordinati del disorientamento di un viaggio)

Ero molto più giovane quando ho visto per la prima volta il documentario di Sergej M.Ejzenstejn “Que Viva Mexico”, sono rimasto incollato alla sedia per tutta la durata del film. Affascinante la tecnica dei piani sequenza e del successivo “montaggio”... praticamente un gioiello della storia del cinema.
Le sequenze del film che ho sempre portato dentro di me e che, soprattutto, mi hanno spinto ad amare in seguito il mio lavoro sono state quelle immagini girate durante il “Dia de Muertos”.
Nel 2000, dopo alcuni tentativi fatti negli anni precedenti, decisi all’ultimo momento di partire per il Messico e rivisitare, per quanto mi fosse possibile, un pezzettino della pellicola girata da Sergej . Non conoscevo questo Paese ma è come se lo avessi conosciuto da sempre. Sarà per il fatto che ho sempre immaginato, vedendo le foto di mia madre giovane, di avere nel mio albero genealogico un antenato indios. Arrivato a Città del Messico ho subito preso contatti telefonici con dei miei amici che vivono nello stato di Veracruz raggiungendoli il giorno dopo.
A Xalapa, capitale dello stato, pensavo di poter trovare facilmente una troupe che mi avesse permesso di girare materiale sufficiente per realizzare un documentario sulla “Festa dei Morti” visto che dall’Italia avevo portato con me solamente una macchina fotografica. Dopo numerose telefonate ed incontri avuti alla televisione di Stato sono riuscito a trovare un cameramen, Gema, che ha accettato di seguirmi con le sue attrezzature in questa mia avventura. Ora mi restava da capire cosa realmente significasse per i messicani questa Festa, quali erano i luoghi dove era maggiormente sentita, tale da soddisfare le mie aspettative. Ho contattato al Museo di Antropologia il prof. Brizuela, antropologo, un conoscente del mio amico Francisco, il quale non ha avuto alcuna difficoltà nel dedicarmi un po’ del suo tempo per chiarirmi le idee sull’argomento anzi, per l’occasione mi ha invitato al Museo per la preparazione dell’Arco, simbolo della festa del Xantolo, che comprende la festa dei Morti e di tutti i Santi.
Nello stesso giorno, su invito di giovani universitari, conosciuti in una festa la notte precedente, ho seguito una conferenza tenutasi all’Università dal prof. Sergio R. Vasquez Zarate studioso di questo argomento. Non mi è stato difficile comprendere l’importanza e la complessità dell’argomento che mi accingevo a documentare visivamente anche perché, leggendo la relazione del prof. Vasquez Zarate, veniva fuori che la commemorazione del Giorno dei Morti congiunge parti importanti delle credenze dell’indigeno mesoamericano. Non nego che per un momento mi sono sentito così piccolo nei confronti di un rituale, di ancestrali radici, che ha sopravvissuto ai conquistatori spagnoli e all’evangelizzazione della religione cattolica. Non mi sono fatto intimidire e senza riflettere a lungo sull’argomento, ho rintracciato telefonicamente sia il prof. Brizuela che Gema ed ho organizzato le riprese per la preparazione dell’Arco al Museo di Antropologia per la sera stessa.
Appena entrati al Museo, equipaggiati di telecamera, microfono e tanta ansia di iniziare, siamo stati ricevuti dai presenti con molta accoglienza. La mia voglia di sapere, la simpatia di Gema e l’ospitalità e la gentilezza dei presenti hanno reso l’atmosfera serena e conviviale, tipica dei messicani.
Ci hanno offerto delle bevande molto usate in questo periodo ed una di queste, l’aguardiente, bevanda molto alcolica ricavata dall’agave, è quella che maggiormente ricordo nel gusto. Iniziano i preparativi per la costruzione dell’Arco che costituisce la base di una forte struttura in legno che va dal pavimento al soffitto. Completata la struttura si procede ad infiorarla con dei fiori gialli, bianchi e rossi fino a formare “mazzi” di uguale grandezza. Ogni mazzo viene collocato intorno alla struttura secondo il gusto di qui la infiora finché, la simmetria e l’estetica che si riescono ad ottenere, saranno motivo di orgoglio e riconoscimento da parte di chi lo ha costruito. Quando si è terminato di infiorare si procede a mettere alcune varietà di frutta come arance, mele, e banane che pendono dall’Arco ed inoltre si collocano alcuni pezzi di pane. Nel frattempo che costruiscono l’Arco riesco a convincere due musicisti presenti a suonare della musica rituale simile a quella che suonano gli huapangueros nei cimiteri indigeni ma, visto il contesto, inserita in una scenografia molto più antica: ai piedi di un’enorme e bellissima scultura in pietra di una testa Olmeca .
Per tutta la serata avevo acquisito abbastanza elementi da capire che la radice di questa Festa era al nord dello Stato di Veracruz e precisamente nella Huasteca. Inutile dire che ci hanno fornito tutte le indicazioni necessarie per arrivarci ed alcuni nominativi di persone da contattare.
Il giorno seguente noleggio un fuoristrada, cosa non facile a Xalapa, ed insieme a Gema e due ragazzi spagnoli, Pau e Selva, ci dirigiamo verso il nord. Un viaggio non facile tenendo presente le strade e le indicazioni stradali non sempre perfette. E tra qualche sosta e sentieri di terra battuta, più adatta ai muli che alle auto, e circa dieci ore di viaggio arriviamo ad un pueblo, dal nome non molto semplice da pronunciare, ma alla fine del mio viaggio in Messico è l’unico che ricordo con facilità: Chicontepec che letteralmente significa “luogo dai sette colli”.
Pochi chilometri prima di entrare al pueblo ci siamo fermati nei pressi di un fiume nel quale un gruppo di uomini e bambini si bagnavano godendosi il caldo sole. Alcune donne facevano il bucato ed altri ancora tentavano di pescare con canne da pesca artigianali qualche pesce. Incuriositi dalla nostra presenza ed un poco infastiditi dalla telecamera, che ha rubato momenti della loro intimità, ci hanno fatto intendere con i loro sguardi che non eravamo ospiti graditi. Riprendiamo il nostro viaggio e tra il caldo e la polvere alzata da un camion che ci precedeva, un taxi collettivo, entriamo dopo poco in Chicontepec.
Il tempo di sistemare i nostri bagagli in una pensione e subito ci siamo messi alla ricerca di un giovane antropologo che ho conosciuto, per caso, alla biblioteca di Xalapa e che mi aveva invitato a casa dei suoi genitori per l’occasione della Festa. Dopo esserci persi per alcune volte in sentieri di montagna eravamo decisi a rinunciare al nostro incontro con l’antropologo. All’improvviso dietro di noi un taxi ci fa segno di fermarci e solo allora riconosco Arturo che, sorridente, ci fa capire che a breve saremmo arrivati a casa dei suoi genitori. Lasciata l’auto ed in compagnia di Arturo ci dirigiamo a piedi, carichi di attrezzature, per dei sentieri bui e tortuosi che ci avrebbero condotti alla Comunità dove vive la sua famiglia. La Comunità è composta da alcune case in legno distribuite a semicerchio tale da formare un enorme cortile al centro. Una delle poche Comunità “Nahuas” che vivono nei dintorni di Chicontepec. Un’accoglienza calorosa come se ci conoscessimo da sempre creando, inizialmente, un poco di imbarazzo. Dopo brevissime presentazioni ci siamo ritrovati seduti ad un tavolo insieme agli uomini della famiglia, mentre le donne già portavano a tavola le particolari pietanze preparate per la giornata dell’1 novembre, il primo giorno che si danno le “offrendas”. Ci hanno offerto una buonissima tazza di cioccolata e pane dolce e poi i tamales di pollo e peperoncini rivolti in pajpatla (foglie di banano), piatto di antiche origini, preparato sapientemente e con amore dalle donne della Comunità e che sarà il cibo per tutto il periodo del Xantolo. Ci invitano visitare le umili abitazioni e con orgoglio ci spiegano che questa festa è una delle più rappresentative non solo di Chicontepec ma di tutta la Huasteca. Accogliere i defunti per gli abitanti di Chicontepec è un motivo di allegria, dove potranno offrire di nuovo ai loro cari tutto ciò che piacque di più nella tappa terrena. Costume di marcata radice indigena, uno dei riti più significativi di questi giorni è la preparazione dei cosiddetti “Arcos”, che sono un complemento più che fantastico dei tradizionali altari. Costruito a gradinata multicolore con casse rivestite, e ad ogni gradino dell’Arco vengono posti differenti pezzi ornamentali con figure in carta perforata, pezzi di pane con le iniziali del defunto e piccoli recipienti con rami di mais in germoglio che simboleggia la continuità della vita. Per non parlare delle belle tovaglie luccicanti con fedeli ricami tipici della regione e la foto del defunto posta centralmente alla struttura. Alla fine della serata due di loro ci accompagnano, forniti di torce elettriche, alla nostra auto e ci salutano calorosamente invitandoci a trascorrere un po’ di tempo con la propria famiglia nei giorni che seguono.
Il mattino seguente ci siamo svegliati molto presto e dopo una rapida colazione decidiamo di fare un giro a piedi per il paese. Il cielo nuvoloso e grigio non mi poneva certamente di buon umore, anche perché chiedendo notizie in merito alla Festa qualcuno mi aveva detto che ormai, giunto al 2 di novembre tutti gli abitanti delle Comunità vicine erano tornate alle proprie case e che c’era ben poco di interessante da vedere. Cominciavo a pensare di non riuscire a girare quelle bellissime scene, già viste, che, innanzitutto, mi avevano spinto a venire in Messico. Il mercato era l’unico luogo che potesse colorare la mia giornata appannata da pensieri, non certo positivi. Piazziamo la telecamera in una posizione strategica della stradina, tenendo presente che in genere ai messicani non piace molto farsi fotografare, ed insieme a Gema decidiamo di riprendere i bellissimi volti di donne e bambini che cominciavano a movimentare il mercato. Lo stesso facciamo con i banchi preparati con cura dai venditori di frutta e “chile”, con l’artigianato locale dai variegati colori esposti in ogni angolo e di altri diversi generi che riempiono i marciapiedi della strada. Mentre seguivo attentamente le inquadrature che Gema mi proponeva di volta in volta si avvicina a noi una ragazza che, timidamente ed in uno spagnolo raro, mi invita a seguirla. Entriamo in un laboratorio di dolci, dove credo lavorasse, e facendomi strada per delle scale situate sul retro mi conduce dalla padrona del laboratorio e della casa. La signora incuriosita dalla nostra presenza in paese aveva chiesto alla ragazza di condurci da lei. La donna con un sorriso smagliante ed in perfetto castigliano mi chiede come mai eravamo a Chicontepec. Dopo le presentazioni, ci invita ad assaggiare i buonissimi dolci del suo laboratorio. Visitiamo gli Archi, uno piccolo e uno più grande, ricchi di frutta variopinta, fiori gialli, violetti e bianchi. Prepariamo il set con i nostri poveri mezzi a disposizione, frammezzato da un sorso di caffè messicano ed un dolce. Intanto, la donna aiutata da una ragazza completa la preparazione dell’Arco grande riempiendo alla fine le coppe di metallo, sistemate ai piedi degli Archi, di un incenso particolare. L’ambiente si riempie di un buon profumo di incenso, credo servisse a scacciare i cosiddetti “spiriti maligni”. Chiedo alla signora il significato della scia di petali di fiori gialli che sono sparsi sul pavimento. La donna mi racconta che è usuale vedere bimbi o adulti nell’ultimo giorno di ottobre spargere fiori di “cempoalxochiti” per formare un “sentiero “ che dalla strada congiunge all’Arco, con lo scopo di segnare la guida ai fratellini morti. Questo giorno è conosciuto anche come “Giorno degli Angioletti” o de “I Bimbi” per ricordare a tutte le anime “piccole” che di mattina presto, secondo la credenza, potranno prendere dall’Arco tamalitos di fagioli e cioccolata. Allorché, ho saputo dalla donna che nel pomeriggio sarebbe continuata la visita al cimitero da parte degli abitanti di Chicontepec e delle Comunità vicine e che la Festa non era affatto finita i miei occhi si sono riempiti di gioia. Uscita dalla casa ci inoltriamo per dei vicoli stretti che conducevano al cimitero e ne approfittiamo per riprendere qualche esterno del paese. Una vecchietta seduta sull’uscio della porta di casa, celata da una tenda che la divideva dalla strada, ci invita ad entrare per ammirare il suo Arco. Un Arco preparato con cura dal quale si poteva scoprire, sia dagli oggetti riposti sia dalle bellissime foto bianco e nero attaccate alla parete, la storia della sua famiglia. Il tempo necessario per scambiarci qualche battuta e subito una delle donne più giovane presente prepara la tavola con una tovaglia ricamata a mano e con tamales, dolci, cioccolata ed altre pietanze. Un uomo di media età entra dalla porta con in mano una cesta e si avvicina alla vecchietta per salutarla dopodiché si dirige in direzione dell’Arco e vi ripone ai piedi la cesta con le offerte.
Ho capito il significato di questo gesto solamente quando mi hanno spiegato che, negli ultimi giorni di Xantolo, figliocci e padrini attendono questo momento per scambiarsi oltre il grande affetto anche ofrendas di frutta, tamales, birra, pollo. In alcuni casi i figliocci per restare con i propri padrini, in questo “Giorno della Benedizione”, arrivano dalle più diverse Comunità attraversando montagne e fiumi. Naturalmente non manca chi, in questo giorno, preferisce riunirsi nel Camposanto, alla presenza del defunto. Proseguendo il nostro cammino verso il cimitero siamo attratti dal suono di un violino e da una chitarra huapanguera. Ci dirigiamo d’istinto verso la fonte e ci ritroviamo a far parte del gruppo di persone riuniti attorno all’Arco, posto all’entrata della casa. Brevi presentazioni con i presenti e con i musicisti e subito chiedo ad Eduardo, uno del trio dei musicisti, di suonare un pezzo di musica cerimoniale. Mi sono sentito in difficoltà nel fare questa richiesta per il fatto che ho notato sui loro volti la stanchezza di chi ha trascorso una giornata intera, andando di casa in casa, a suonare i “Suoni dell’Arco”.
La difficoltà è svanita quando Eduardo, con disinvoltura e conoscenza dell’argomento, ha cominciato a parlare del grande significato della musica e della cultura huasteca associando alle parole il ritmo musicale ricavato dai propri strumenti. Intanto la proprietaria ci ha offerto tamales e frutta esposta sull’Arco e della buona aguardiente fatta con le proprie mani. Eduardo è stato così gentile, alla fine, da regalarmi due audiocassette registrate dal suo trio invitandomi a utilizzarle, se lo volessi, per il documentario che mi accingevo a realizzare. Usciti dalla casa e arrivati nei pressi del cimitero seguiamo un duo di mariachi che entrano in una “cantina”. La musica non era chiaramente huasteca né tantomemo adatta ai giorni di festa del Xantolo ma sicuramente rappresentava per noi una variazione al tema. Gli ho offerto una birra e in cambio gli ho chiesto di suonare un pezzo da dedicare a Gema, cameramen e compagna indispensabile in questo viaggio. Ne approfittiamo della pausa per riposarci un po’ e per fare un piano di lavoro per le prossime ore. I suoni delle chitarra dei mariachi ci hanno accompagnato per il breve tratto che separava la “cantina” dall’entrata del cimitero. Alcune donne con vestiti coloratissimi, a secondo della Comunità di appartenenza, cominciavano ad entrare nel cimitero. Per tutto il pomeriggio, questo singolare punto di riunione, con tombe variopinte, è diventato il posto più frequentato di Chicontepec, dove abbiamo assistito ad un via vai di gente con fiori, corone, cibo, bevande e naturalmente non poteva mancare la partecipazione di alcuni gruppi di musicisti. Una famiglia indigena recitava il rosario del proprio caro, in lingua nàhuatl, sulla tomba color verde pastello, che si fonde con i suoni provenienti dal violino e dalla chitarra di un duo tradizionale huasteco. Gli huapangueros non si stancavano di andare di tomba in tomba, ricompensati con modiche gratificazioni e con soddisfazione delle famiglie che richiedevano pezzi come il bolero, il corrido ed altro che evidentemente piacevano al defunto.
Un interminabile movimento di persone ha continuato ad affollare il cimitero e solamente la pioggia, che minacciava da un bel po’di tempo, lo ha rallentato.
Molti sono ritornati alla propria Comunità per continuare la Festa ed altri ancora, senza curarsi più di tanto della pioggia, sono rimasti a ballare e cantare in compagnia dei musicisti fino a notte, ritirandosi solamente per lasciare riposare le anime. Anche noi decidiamo di ritornare in albergo, ma prima ho chiesto a Gema di girare l’esterno del cimitero con luce ambiente, inquadratura che avevo pensato di riservare per la chiusura del documentario. Il giorno dopo, con molta comodità, riprendiamo il nostro viaggio di ritorno per Xalapa contenti di essere stati partecipi al giorno del Xantolo, che per gli abitanti di Chicontepec significa letteralmente “Benvenuto”. Guidavo un po’ spedito, l’auto presa a noleggio dalla signora Sanchez, quando, dopo pochi chilometri da Chicontepec, ho dovuto frenare bruscamente per non investire un gruppo di persone che all’improvviso si sono posizionati al centro della strada. Quasi tutti erano vestiti con costumi carnevaleschi e maschere tranne i musicisti che accompagnavano, con i propri strumenti, il movimento ripetitivo ed incalzante del loro corpo: evidentemente una danza indigena.
Ne abbiamo approfittato per girare ancora un poco di nastro e per conoscere meglio queste persone che, così imprudentemente, avevano bloccato alcune auto che transitavano sulla strada. Abbiamo scoperto che il gruppo, in occasione della Festa, ha danzato, passando di Comunità in Comunità, per quattro giorni senza concedersi nemmeno un’ora di sonno. Ci siamo accodati al gruppo ed in una Comunità vicina abbiamo fatto una sosta. Durante una danza improvvisata hanno coinvolto anche Gema nel ballo, che ha accettato l’invito senza alcuna resistenza. Avevo trovato una nuova e più autentica conclusione del documentario o forse solamente l’inizio della conclusione. Un poco come la visione cosmica nahuatl, dove né la natura né l’uomo sono condannati alla morte eterna.
Tutto muore e tutto rinasce.

salvatore raiola

2 commenti:

Hannah ha detto...

Grazie salvatore per avermi portato un po in questo viaggio con le tue parole e avermi invitato al blog.
Il Male me lo ricordo bene... sembra passato un secolo, il tutto visto dalla Bosnia poi...
Appena ho un po di tempo magari vi mando qualcosa di scritto anch'io, a presto, Hannah

Loïc Thirion ha detto...

Xalapa, Veracruz, Coatepec, luoghi fantastici ornati da gente splendida. Tutto cambia così velocemente, ogni mese che passa sembra che una corda stringe il collo respirante di quelle zone bellissime. Per esempio a Coatepec, grazie a dei contatti mai perso, sò che tutte le zone da caffè, i "cafetales" sono velocemente rimpiazzati da un'ondata di costruzioni e chi ci lavorava si ritrova con niente. Ho proposto varie volte a produttori video di realizzare un documentario sul tema, (grazie all'insegnamenteo e con l'aiuto di Salvatore e alla sua passione che mi ha invasa), ma le risposte sono sempre molto sfuggenti, come se fosse pericoloso trattare temi del genere. Il fatto è proprio che ormai le riprese ed i documentari sono sempre più simili ad una marea di spot pubblicitari per turisti, sensa più mostrare la realtà delle cose. Una ricerca del passatempo che non faccia ne bene ne male allo spirito. IL VUOTO.
A quando di nuovo delle riprese piene di sentimento. Sperando che sia un giorno possibile, aspetto quest'occasione per tornare con te in Messico. Ciao Salvatore.